L' ACQUA: UN BISOGNO O UNA RESPONSABILITÀ?
Negli ultimi decenni la nozione di "acqua", che generalmente ha sempre fatto riferimento al campo delle scienze naturali, si è gradualmente spostata nell'ambito delle scienze umane risultando, quindi, sempre più associata alle nozioni di "bisogno" e "consumo" e suggerendo una forte interdipendenza tra le attività umane.
In quest'ottica i problemi posti dalla relazione uomo, attività umane e acqua non sono più espressi unicamente in termini di sfruttamento - per quanto sostenibile questo possa essere - bisogno o diritto, ma anche in termini di rispetto, responsabilità e dignità. Per secoli, le civiltà si sono sviluppate in prossimità di grandi bacini idrici e ancora oggi fiumi, laghi e oceani definiscono in modo sostanziale la vita umana in termini di ricchezza, sviluppo e salute, con particolare riguardo alle popolazioni più povere e vulnerabili.
Il 28 luglio 2010 la risoluzione 64/292 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari come diritti umani fondamentali e di conseguenza modelli e politiche finalizzati all'ottimizzazione della gestione delle risorse idriche sono stati formulati, proposti e ampiamente dibattuti.
L'acqua, "l'oro blu" del XXI secolo, è una risorsa strategica il cui intrinseco valore e limitata disponibilità rispecchiano la complessità del mondo moderno. Quando l'uomo ha iniziato a modificare in modo significativo l'ambiente le esigenze primarie connesse all'acqua hanno rapidamente superato una soglia critica. A causa della crescita della popolazione, dell'innovazione tecnologica e del consumo, i bisogni secondari si sono moltiplicati contribuendo a trasformare le risorse in prodotti la cui necessità è indotta e non essenziale per la sopravvivenza. Inoltre, le dinamiche terrestri sono tutt'altro che immuni dal fenomeno del cambiamento climatico che gioca un ruolo sempre più determinante per quanto riguarda la disponibilità delle risorse idriche.
Queste riflessioni ispirano ad un principio: la "cultura dell'acqua", secondo cui l'acqua non è un bene materiale e tanto meno illimitato, bensì un elemento da proteggere in quanto tale, indipendentemente da interessi, esigenze e politiche di individui, comunità o altri attori che con il loro comportamento sottopongono la risorsa idrica a forti stress mettendone fortemente a rischio la sostenibilità e la durabilità.
A partire dal 1950 la domanda di acqua globale è triplicata e le proiezioni dicono che raddoppierà di nuovo entro il 2050. I dati del 2017 indicano che il 92% della popolazione mondiale ha accesso a "almeno acqua di base" e quasi il 70% ad "almeno servizi igienici di base", la disponibilità di acqua pro capite è diminuita da 17.000 a 7.500 metri cubi all'anno in tutto il mondo e la scarsità d'acqua colpisce il 40% della popolazione mondiale. La qualità dell'acqua sta diventando un problema critico emergente e le emissioni di inquinanti contaminano sia le acque di superficie, sia le falde sotterranee con gravi ripercussioni in campo agricolo e sui sistemi idropotabili, al punto da rendere inutilizzabili gran parte delle risorse e con la drammatica conseguenza di destabilizzare i paesi a livello sociale e politico contribuendo così all'aumento di flussi migratori.
I conflitti per l'utilizzo delle risorse idriche sono in aumento, così come epidemie legate all'acqua e disastri naturali che influenzano la sicurezza e la salute degli esseri umani e l'ecosistema naturale, fondamentale per il buon funzionamento dell'ambiente. Tre quarti di tutti i lavori sono collegati all'acqua, ciò evidenzia l'impatto tanto quanto la dipendenza esistente da una risorsa che è sempre stata sovrasfruttata.
Un sistema di sviluppo la cui stabilità economica si basa su una crescita illimitata su risorse limitate è a sua volta contraddittorio. La crescita economica e la sostenibilità ambientale non sono elementi incompatibili; al contrario si fondono in un unico impegno reale: la preservazione dell'acqua che implica un cambiamento di modello di consumo e di sviluppo dove siano i bisogni ad adattarsi alle risorse idriche e non viceversa.
In quest'ottica i problemi posti dalla relazione uomo, attività umane e acqua non sono più espressi unicamente in termini di sfruttamento - per quanto sostenibile questo possa essere - bisogno o diritto, ma anche in termini di rispetto, responsabilità e dignità. Per secoli, le civiltà si sono sviluppate in prossimità di grandi bacini idrici e ancora oggi fiumi, laghi e oceani definiscono in modo sostanziale la vita umana in termini di ricchezza, sviluppo e salute, con particolare riguardo alle popolazioni più povere e vulnerabili.
Il 28 luglio 2010 la risoluzione 64/292 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari come diritti umani fondamentali e di conseguenza modelli e politiche finalizzati all'ottimizzazione della gestione delle risorse idriche sono stati formulati, proposti e ampiamente dibattuti.
L'acqua, "l'oro blu" del XXI secolo, è una risorsa strategica il cui intrinseco valore e limitata disponibilità rispecchiano la complessità del mondo moderno. Quando l'uomo ha iniziato a modificare in modo significativo l'ambiente le esigenze primarie connesse all'acqua hanno rapidamente superato una soglia critica. A causa della crescita della popolazione, dell'innovazione tecnologica e del consumo, i bisogni secondari si sono moltiplicati contribuendo a trasformare le risorse in prodotti la cui necessità è indotta e non essenziale per la sopravvivenza. Inoltre, le dinamiche terrestri sono tutt'altro che immuni dal fenomeno del cambiamento climatico che gioca un ruolo sempre più determinante per quanto riguarda la disponibilità delle risorse idriche.
Queste riflessioni ispirano ad un principio: la "cultura dell'acqua", secondo cui l'acqua non è un bene materiale e tanto meno illimitato, bensì un elemento da proteggere in quanto tale, indipendentemente da interessi, esigenze e politiche di individui, comunità o altri attori che con il loro comportamento sottopongono la risorsa idrica a forti stress mettendone fortemente a rischio la sostenibilità e la durabilità.
A partire dal 1950 la domanda di acqua globale è triplicata e le proiezioni dicono che raddoppierà di nuovo entro il 2050. I dati del 2017 indicano che il 92% della popolazione mondiale ha accesso a "almeno acqua di base" e quasi il 70% ad "almeno servizi igienici di base", la disponibilità di acqua pro capite è diminuita da 17.000 a 7.500 metri cubi all'anno in tutto il mondo e la scarsità d'acqua colpisce il 40% della popolazione mondiale. La qualità dell'acqua sta diventando un problema critico emergente e le emissioni di inquinanti contaminano sia le acque di superficie, sia le falde sotterranee con gravi ripercussioni in campo agricolo e sui sistemi idropotabili, al punto da rendere inutilizzabili gran parte delle risorse e con la drammatica conseguenza di destabilizzare i paesi a livello sociale e politico contribuendo così all'aumento di flussi migratori.
I conflitti per l'utilizzo delle risorse idriche sono in aumento, così come epidemie legate all'acqua e disastri naturali che influenzano la sicurezza e la salute degli esseri umani e l'ecosistema naturale, fondamentale per il buon funzionamento dell'ambiente. Tre quarti di tutti i lavori sono collegati all'acqua, ciò evidenzia l'impatto tanto quanto la dipendenza esistente da una risorsa che è sempre stata sovrasfruttata.
Un sistema di sviluppo la cui stabilità economica si basa su una crescita illimitata su risorse limitate è a sua volta contraddittorio. La crescita economica e la sostenibilità ambientale non sono elementi incompatibili; al contrario si fondono in un unico impegno reale: la preservazione dell'acqua che implica un cambiamento di modello di consumo e di sviluppo dove siano i bisogni ad adattarsi alle risorse idriche e non viceversa.